Burundi in rivolta. Sospese le nostre attività nel Paese. Il racconto del nostro operatore a Bujumbura

30 aprile 2015 - In questo momento le operazioni del VIS in Burundi sono sospese a causa dei gravi disordini in corso a Bujumbura, ma contiamo di riprendere quanto prima il nostro posto al fianco dei giovani descolarizzati burundesi, pur nel pieno rispetto delle procedure di sicurezza dei nostri operatori espatriati e locali, concordate con le autorità italiane e francesi in loco. Daniele de Angelis, Rappresentante legale VIS nel Paese, ci ha inviato ieri questa lettera per aggiornarci sulla situazione e aiutarci a comprendere quanto sta accadendo nel Paese. La condividiamo con tutti voi insieme all'appello perché i disordini si arrestino.

Lettera dal Burundi

Da domenica mattina 26 aprile siamo chiusi  in casa. Io, mia moglie e le due bambine. Dopo aver fatto le scorte. Sono tre giorni che la popolazione burundese manifesta nei quartieri di Nyakabiga, Cibitoke, Musaga, Kanyosha contro il terzo mandato dell’attuale presidente Nkurunziza Pierre. La società civile aveva avvisato che non avrebbe accettato un terzo mandato in violazione degli accordi di pace di Arusha e la Costituzione che fissa a due i mandati del presidente della Repubblica eletto. 

Domenica le radio private si sono viste tagliare il ripetitore per emettere all’interno del paese. L’87% della popolazione burundese non ha più notizie di quello che accade nel Paese, se non dai media “ufficiali”. Lunedì la RPA, Radio popolare di Bujumbura, è stata chiusa e la polizia ha assaltato la Maison de la presse (la casa della stampa) picchiando  i giornalisti e chiudendo le emissioni delle radio private. Hanno arrestato anche il leader hutu della società civile Pierre Mbonimpa che era presente durante la trasmissione, che stava informando sulle manifestazioni.

La popolazione sta fuggendo in Rwanda, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo. Si sono superati i quindici mila rifugiati. E’ un esodo “socialmente trasversale”: funzionari di Bujumbura che inviano la famiglia a Kigali, contadini che fanno attraversare la frontiera alla moglie ed i  figli chiedendo asilo perché si dicono minacciati dalla milizia del partito al potere, gli “Imbonerakure” (quelli che vedono lontano).

Ma andiamo con ordine. Noi abbiamo visto arrivare i problemi come un fiume in piena. Alcuni fattori sembrano essere stati dei forti propellenti all’esplosione della situazione attuale: la terza candidatura del presidente attuale Pierre Nkurunziza, l’armamento della milizia del partito, delle inchieste fatte dalla Radio Popolare della capitale su alcune esecuzioni contro i civili fatte dai servizi segreti e su degli scandali finanziari di fondi pubblici oggetto di appropriazione indebita.

La pace è a rischio ancora per l’interesse di pochi. Non si tratta di una lotta etnica come cliché venduto e rivenduto per questi paesi, anche se alcuni, e non solo in Burundi, vogliono ancora usarlo. A torto e risuscitando i fantasmi del passato. La questione è tutt’altra. E la nostra positivissima collaborazione con i tecnici del Ministero dell’Educazione per lo sviluppo della formazione professionale per i giovani descolarizzati, ci fa capire che c’è invece una parte, anche nel settore pubblico burundese, che invece crede nella pace e nello sviluppo.

C’è invece chi, all’interno del partito al potere, ha governato tra immunità e arricchimento, impunità e privilegi ed ora non vuole lasciare il governo. Se lo lasciasse, sarebbe forse chiamato a rendere conto.

In tutto questo, chi ha parlato con i contadini che fuggono ancora dal Paese? Chi ha chesto il parere di quel 67% della popolazione che mangia una sola volta al giorno sprofondato nella povertà?  Secondo le statistiche internazionali, il Burundi nel 2015 è il paese più affamato dell’Africa. La maggior parte dei giovani, soprattutto quelli di famiglie povere, sono senza terra, senza lavoro e senza avvenire. Chi si preoccupa di loro? Questi i fatti, al di là di ogni lotta di potere.

Ancora una volta e forse ancora più angosciato è il nostro appello affinché ognuno accolga le proprie responsabilità ed affinché la popolazione, e soprattutto le persone più povere e vulnerabili, non siano ancora una volta presi in ostaggio di lotte nelle quali non hanno nessun interesse da difendere o benefici da attendere.

In questo momento le operazioni del VIS sono sospese a causa dei gravi disordini a Bujumbura, ma contiamo di riprendere quanto prima il nostro posto al fianco dei giovani descolarizzati burundesi, pur nel pieno rispetto delle procedure di sicurezza dei nostri operatori espatriati e locali, concordate con le autorità italiane e francesi in loco.

Segue una ricostruzione della situazione.

  1.    La candidatura di Pierre Nkurunziza

Durante tutto il mese di marzo ed aprile alcune delegazioni internazionali si sono succedute a Bujumbura per esortare il presidente attuale a non presentarsi come candidato ad un terzo mandato. Membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Segretaria esecutiva dell’Unione Africana, membri dell’UE si sono alternati per convincere l’attuale presidente  a non candidarsi a un terzo mandato. Due letture si oppongono. Il presidente Nkurunziza ha effettivamente fatto due mandati e secondo la Costituzione e gli Accordi di Arusha non potrebbe farne un terzo. Falso,  dicono alcuni membri del partito perché il primo mandato fu fatto non a suffragio universale diretto ma indiretto dato che il presidente fu eletto dalle camere riunite. Dunque secondo loro Nkurunziza Pierre ha diritto ad un altro mandato a suffragio diretto. Questa tesi è considerata dall’opposizione un colpo di stato perché basata su un cavillo di forma.

La questione ha spaccato anche il partito al potere. Una lettera indirizzata da alcuni membri importanti del partito al potere CNDD-FDD infatti, che porta la firma o il sostegno del Presidente della Camera dei deputati, del presidente del Senato, di deputati, direttori generali, di governatori e sindaci chiedeva al Presidente di rinunciare alla terza candidatura. Una parte del partito voleva cambiare. La lettera ha scatenato una vera epurazione all’interno del partito stesso, con il licenziamento in tronco di governatori, sindaci e funzionari. Non sono riusciti a trovare i quorum necessari per far  dimettere i presidenti delle due camere ma in ogni caso sono stati allontanati dal partito. Il 26 aprile c’è stato il congresso del CNDD-FDD che ha effettivamente confermato il suo candidato. Quelli che avevano chiesto il cambiamento sono stati esclusi o non invitati. Il partito ha superato l’antagonismo etnico tutsi-hutu e sono presenti le due etnie nel partito anche se il partito è ancora a maggioranza hutu e soprattutto gestito da un gruppo di potere rappresentato da coloro che sono usciti dal conflitto armato con il grado di generali. Nonostante il divieto di manifestare imposto dal governo , i membri del partito hanno sfilato per le vie di Bujumbura per festeggiare Nkurunziza protetti dalla polizia.

La società civile che aveva annunciato la sua manifestazione prima del divieto, domenica 27, il giorno dopo il congresso, si è vista impedire la manifestazione pacifica con cariche, idranti e spari non a salve, che hanno causato il decesso di tre persone. Ne hanno scritto anche i media italiani. Il governo parla di insurrezione ed ha arrestato più di trecento persone. Tuttavia la macchina repressiva messa in moto attraverso la polizia dal partito al potere ha voluto identificare la polizia e l’esercito come strumenti del partito al potere e dei suoi interessi invece che come responsabili della pace e dell’ordine pubblico. Hanno distorto così la regole democratiche secondo le quali le forze dell’ordine non sono pagate dal partito al potere,  ma dai cittadini e, vista la dipendenza dagli aiuti allo sviluppo, anche dalla comunità internazionale. Ad ogni cittadino deve essere riconosciuto il diritto di poter esprimere la propria opinione e sono proprio le persone comuni di Bujumbura che non capiscono perché la polizia protegga solo i manifestanti di un partito e non tutti i manifestanti. Così continua la manifestazione da domenica e non si fermerà, dicono i manifestanti, fino a quando l’attuale presidente non rinuncerà al terzo mandato. In questi giorni l’esercito ha fatto una timida apparizione in alcuni quartieri per proteggere i manifestanti. Quanto basta per far vedere che polizia ed esercito hanno due visioni differenti delle manifestazioni.

  1. Gli imbonerakure

Prevedendo un possibile scontro per il potere, il partito al potere ha organizzato la sua milizia inviandola in formazione a Kiriba-ondes (Repubblica Democratica del Congo)  per diversi mesi. I servizi segreti si sono organizzati per armarli e distribuirli nel Paese; nonostante le smentite, le testimonianze sembrano troppo numerose per essere di parte. La mattina del 28 aprile delle milizie venute dalla Ruziba hanno attaccato i manifestanti di Kanyosha, scortati dalla polizia nella loro fuga, armati di fucili, pistole e machete. Nonostante le proteste della società civile e dei partiti dell’opposizione, nessun gruppo d’inchiesta internazionale e indipendente è stato inviata in Burundi per venire a verificare queste gravi accuse.

  1. RPA: una radio come la radio ruandese “Mille Colline”?

La radio è stata chiusa con l’accusa di pilotare i manifestanti come la Radio ruandese Mille Colline. Tuttavia le radio che seguivano le manifestazioni erano tre: Bonesha, Isanganiro e RPA. Il direttore della RPA era stato già arrestato perché aveva cominciato a diffondere delle notizie riguardanti l’assassinio delle tre religiose saveriane italiane a settembre 2014 nella parrocchia di Kamenge a Bujmbura. La RPA aveva trasmesso le confessioni di alcuni agenti dei servizi segreti che dicevano di aver ucciso le suore su ordine dell’allora capo dei servizi e uomo potentissimo di Bujumbura, Lieutenant General Adolphe Nshimirimana.

Le suore erano state uccise, due subito ed una successivamente, nonostante la polizia avesse assicurato la guardia alla casa delle religiose. La polizia identificò come responsabile degli omicidi una persona con disabilità mentale, ma i vescovi burundesi e la comunità internazionale non hanno mai creduto a questa versione dei fatti.

Il direttore della RPA che si occupò della vicenda fu accusato di complicità nell’omicidio e di divulgazione del segreto istruttorio. Dopo un mese a Muramvya in regime di isolamento, sotto la pressione internazionale, il giornalista è stato liberato ed accolto da migliaia di manifestanti a Bujumbura  in delirio di gioia. Le suore sarebbero state uccise per non parlare dei traffici fatti tra la Repubblica Democratica del Congo ed i generali burundesi e soprattutto per non parlare di quello che avevano visto: si sospetta fossero al corrente della formazione militare degli imbonerakure in Congo.

Poco prima della sua chiusura la RPA stava diffondendo un’inchiesta sull’acquisto di un aereo presidenziale pagato 12 milioni di dollari e mai arrivato i cui soldi sarebbero finiti sul conto di uno dei generali dell’“entourage” del presidente.

Domenica scorsa, il ministro dell’Interno, quello della Sicurezza e quello della Comunicazione, con una cinquantina di poliziotti hanno cercato di chiudere la RPA. Arrivati là, la notizia si era già sparsa nella città e molti giornalisti nazionali ed internazionali e gente comune si era riunita davanti alla radio per seguire quello che accadeva. La delegazione governativa quindi aveva desistito dall’intento di chiudere, ma sono riusciti a farlo lunedi scorso.

  1. Un’impasse senza uscita?

Per il momento la comunità internazionale, Unione Europea e le Nazioni Unite tacciono. Hanno minacciato di allontanare i soldati burundesi dalla forza di pace e di sospendere il Burundi dagli Accordi di Cotonou con i suoi relativi finanziamenti. Gli Stati Uniti hanno promesso di applicare delle sanzioni. Sono soltanto dichiarazioni per il momento. Altri informano che il Presidente del Rwanda sarebbe pronto a intervenire in caso di aggressione ai Tutsi del Burundi.

Il Burundi tuttavia ha fatto un altro percorso. Nel governo vi sono dei ministri tutsi dal passato militante nei partiti duri e razzisti come quello di Bagaza; nel partito al potere il vice-presidente è un Tutsi e vi sono nel partito molti membri di un’etnia e dell’altra. Il problema non sembra dunque un problema etnico ma piuttosto legato alla lotta del potere. La voglia di rinnovamento di una parte del partito CNDD-FDD è stata soffocata violentemente. Nel discorso di investitura del partito, l’attuale presidente ha usato il linguaggio del “maquis” parlando per coloro che non sono mai usciti dalla lotta armata e che hanno fatto delle democrazia uno slogan di facciata, pronti a violare tutte le libertà fondamentali ed imporre con la forza il loro potere pur di conservare i loro privilegi.

Bujumbura, 30 aprile 2015

Daniele de Angelis

Rappresentante legale VIS in Burundi