Che ci fa un cooperante ai Caraibi?

14 aprile 2015 - Ho passato l’ultimo anno lavorando tra il Senegal ed il Perù, sballottolato da un capo e l’altro del mondo, e non avrei mai pensato di ripartire così repentinamente per un altro progetto di cooperazione, che mi avrebbe portato a lavorare tra i Caraibi e l’Africa Occidentale. Un progetto impegnativo e che coinvolge tutti gli uffici di cooperazione e sviluppo salesiani dell’Africa e dei Caraibi. Dopo una lunga preparazione presso la sede del VIS a Roma, parto verso l’isola di Hispaniola, dove svolgerò il mio primo periodo di lavoro. Dovrò fare assieme allo staff degli uffici progetti salesiani della Repubblica Dominicana e di Haiti, un’autovalutazione degli stessi. Infatti il progetto Co-partners in development finanziato dall’Unione Europea, ha come obiettivo specifico il rafforzamento ed il potenziamento degli uffici di cooperazione e sviluppo salesiani tramite la formazione dei loro staff. Il mio ruolo, assieme a quello di altri due miei colleghi basati in Africa Orientale ed in Africa meridionale, sarà quello di accompagnare questa formazione tecnica, aiutando i rispettivi uffici ad applicarla in maniera giusta e proficua.

La prima tappa del mio viaggio è la Repubblica Dominicana e dopo una giornata di lavoro assieme al propositivo staff della Fondacion Salesiana Don Bosco, dove è presente l’ufficio progetti, mi prendo del tempo guardando l’Atlantico e questa terra piena di dolore, di cui noi occidentali siamo gli artefici.

I Caraibi sono stati dilaniati dalla nostra onnipotenza e cupidigia, abbiamo sterminato le popolazioni autoctone, e poi vi abbiamo importato gli schiavi presi dalle coste africane, infatti l’Africa è ben presente in queste terre.

Basta farsi un giro a Santo Domingo, per i barrios poveri, per vedere le stesse cose che ho visto dei quartieri poveri di Dakar; bambini nudi per strada, o gente che non ha un lavoro e passa l’intera giornata su una sedia guardando passare la vita davanti a propri occhi stanchi. In questi giorni ho lavorato molto, e ho visto anche in questi miei colleghi la voglia di continuare a lottare contro le ingiustizie, questa cosa ti fa sentire un po’ meno solo. Le notti passano tranquille fra i manghi ed i banani che circondano la mia residenza, non provo nostalgia, il lavoro mi assorbe molto, e quasi non smetterei mai di lavorare. Perché la cooperazione è sempre una fucina di idee, parlando e discutendo con le persone del posto, ti si palesano alla mente mille progetti possibili, e quando poi un progetto si realizza e funziona, allora ti senti in pace con il mondo, ti senti che qualcosa di buono lo sei riuscito a fare in questa vita.

Penso anche alla mia famiglia, ma senza tristezza, so che mi vogliono bene e stanno lì qualsiasi cosa succede. Ancora non mi sono calato bene nel clima caraibico, domani andrò di nuovo in giro a vedere le opere ed i progetti. Spero di comprendere ancora  di più questo Paese che ha mille anime, e spero di prepararmi bene con l’impatto con Haiti. Un po’ mi preoccupa, perché è la prima volta che andrò in un paese in emergenza sociale e dove la sicurezza personale e molto a rischio. Allo stesso tempo però sono emozionato di conoscere questa cultura nata dalle catene spezzate degli schiavi africani. In ultima analisi devo dire che la Repubblica Dominicana, non è completamente Africa, ma neppure completamente Latino America, insomma è un misto, un enigma da decifrare, o meglio, lasciarlo così indecifrabile.

Passata una settimana sull’alto orientale dell’isola di Hispaniola, mi sposto sul lato occidentale, dove farò lo stesso lavoro di valutazione dell’ufficio progetti presso la Fondation Rinaldi.

Haiti, non ho mai visto qualcosa del genere, ed è la prima volta che i pensieri e le immaginazioni prima di partire non coincidono per nulla con realtà che si incontra. Un groviglio di macerie, fango, uomini, donne, bambini, animali, vegetazione coperta di polvere, quasi un essere composto da tutte queste cose che ha vita propria. Port-au-Prince.

Questa città si dipana su più colline, e nei vari saliscendi, puoi incontrare di tutto; camion e betoniere che provano a fare una gincana in strade minuscole, qui il proverbio “difficile come far passare un cammello in mezzo ad una cruna di un ago” è completamente falso. Questi mezzi pesanti lo riescono a fare tranquillamente, riescono a passare in strettoie inimmaginabili.

Per il resto la città è violentata dai cantieri ancora in essere, dalla polvere dei mattoni e delle strade in costruzione, dal degrado di alcuni quartieri violenti. Ma la gente di Haiti ogni mattina si alza ed invade le strade, svegliandosi col cantare dei mille galli che popolano Port-au-Prince, animale spesso usato per le cerimonie Vudu, e non si preoccupa dei mille problemi che gli si pongono davanti, sanno bene come evitarli e districarsi, proprio come nel traffico abnorme e alieno che caratterizza tutta la città.

Lavorare in questo contesto è abbastanza difficile, ci vuole tanta passione in quello che si fa, nella cooperazione. La si vede negli occhi dei cooperanti che ho incontrato e di cui ho avuto il piacere di lavorarci assieme. Quando vedi e riconosci ciò, riesci a lavorare anche meglio, dai il massimo. Haiti è ancora una ferita che brucia, una ferita che spesso l’Occidente ha continuato a porvi del sale, basti pensare alla sua popolazione, completamente di origine africana. I nativi dell’isola sono stati completamente sterminati dagli spagnoli e dalle malattie europee, rimpiazzati dagli schiavi rapiti dalle coste dell’Africa Occidentale per farli lavorare e morire nelle piantagioni di canna da zucchero, distruggendo altresì tutto l’ecosistema tropicale. Tutto ciò solamente per togliere un dolce sfizio alla borghesia europea ottocentesca, gustare dello zucchero di canna con il tè pomeridiano. Basterebbe questa considerazione, per non azzardarsi mai più a lamentarsi per qualche futile problema delle nostre belle vite , nel nostro mondo di luci e finzioni.

Sto lavorando molto e il team di haitiani, molto serio e formale, non interagisce con il personale espatriato, come se fossero due entità distinte e talmente distanti, quasi da non convergere mai. Si dice che Haiti, sia un pezzo di Africa nei Caraibi, non credo, in Africa l’iterazione fra le persone è tutto, è l’anima di quel magico continente. Forse qui, tutto il male che ha dovuto sopportare questa gente li ha resi diffidenti, e forse hanno ragione, non si può cancellare in un attimo le catene con cui li abbiamo per decenni legati. 

Sarà un viaggio cooperativo che ricorderò per sempre, perché le sorprese nella vita sono sempre tante, a volte irreali come può essere passeggiare per le strette vie di Port-au-Prince. Il lavoro è appassionante, stancante e difficile, ed è questa la cooperazione in tutte le sue sfaccettature.

Gianpaolo Gullotta

VIS Regional project manager – West Africa and Caribbean