Quale pace nel Rwanda di oggi? Il racconto e il punto di vista di don Ferdinando Colombo

8 aprile 2014 -  Oggi anticipiamo un articolo di analisi e approfondimento sul genocidio in Rwanda che troverete nel prossimo numero della nostra rivista (arriva gratuitamente nelle vostre case o via email, basta compilare il modulo online ). L'autore è una persona molto cara al VIS: Don Ferdinando Colombo, Salesiano di Don Bosco e presidente del VIS dal 1988 al 1993 e da quella data sino al 2009 Vice Presidente e Delegato del Centro Nazionale Opere Salesiane.

Quale pace nel Rwanda di oggi?

di Don Ferdinando Colombo

In questo aprile il Rwanda fa memoria dei suoi morti, quelli che caddero nell’irrefrenabile spirale di violenza esplosa 20 anni fa con l’abbattimento dell’aereo presidenziale dell’allora capo di Stato Juvenal Habyarimana. La minuscola Nazione ‘delle mille colline’, nel cuore della Regione dei Grandi Laghi, ha certamente fame e sete di giustizia, quella vera.

Già prima ancora dell’indipendenza, avvenuta nel 1962, centinaia di migliaia di ruandesi d’etnia tutsi fuggirono in esilio nei Paesi limitrofi o anche oltremare, in seguito ad un’aperta persecuzione. Verso la metà degli anni Ottanta, la diaspora tutsi era già ben consolidata negli Stati Uniti, in Canada, in Belgio, in Uganda, in Kenya ed altrove. Molti avevano abbandonato il Paese d’origine nella tenera infanzia, altri nacquero in terra straniera e sentirono parlare delle ingiustizie, delle sopraffazioni, dell’odio etnico e dell’esodo solo attraverso i racconti dei loro genitori.

Fu a Kampala, nel dicembre 1987, che nasce il Fronte patriottico ruandese (Fpr). Durante il regime ugandese di Milton Obote, che precedette l’avvento al potere dell’attuale presidente ugandese, Yoweri Museveni, migliaia di ruandesi tutsi entrarono nell'Esercito di resistenza nazionale.  Tra i luogotenenti di Museveni c’è Paul Kagame, attuale presidente ruandese. Terminata la guerra civile ugandese, nell’86, Kagame affinò le sue competenze belliche oltreoceano, presso la scuola del comando e dello stato maggiore Usa a Forth Leavenworth. Improvvisamente, però, interruppe gli studi di guerra per tornare nella clandestinità e assumere il comando dello Fpr. L’intento era quello di destituire l’allora presidente ruandese Habyarimana. L’attacco a Ruhengeri, il 23 gennaio 1991, segnò l’inizio di una campagna che nell’aprile del 1994 lo portò ad entrare a Kigali come un vero ‘Cesare Africano’.

Comunque, non v’è dubbio che i massacri avvenuti prima e dopo la presa della capitale ruandese costituirono un’orribile carneficina che causò, secondo alcune fonti governative ruandesi, un milione di morti, principalmente d’etnia tutsi, e, secondo altre, tra le 800 e le 500mila vittime tra tutsi e hutu. Stando al censimento del ‘91, il 90,4 per cento (pari a circa 6,5 milioni) della popolazione residente in Rwanda era hutu, l'8,2 per cento (pari a 600mila) era tutsi e lo 0,4 per cento era d’etnia twa. Una cosa è certa: ciò che accadde fu terribile e morirono esponenti di ambedue le etnie per colpa degli estremisti hutu che incitarono all’odio razziale. Ma se da una parte è vero che le Forze armate ruandesi (Far) ammazzarono senza pietà chiunque capitasse loro a tiro (soprattutto tutsi), altri orribili crimini furono perpetrati dallo Fpr, senza però che fosse concesso ai giornalisti, allora sul campo, di appurare la verità dei fatti.

Le carceri ruandesi negli anni seguenti furono autentici gironi danteschi in cui erano rinchiuse quasi centomila persone in attesa di giudizio. Ma al di là di tutto, il genocidio ha rappresentato un vero e proprio shock anche per la Chiesa Cattolica. 

Rileggendo i fatti.

Ho accompagnato in Rwanda il primo gruppo di giovani nel 1974 e da quell’esperienza è scaturita l’idea di fondare la ONG Amici del Rwanda. Ogni anno un gruppo sempre più numeroso di giovani parteciparono a questi viaggi estivi da cui sono scaturiti progetti di sviluppo, animazione delle attività giovanili (Oratorio) e volontari internazionali di qualità; ad esempio Guido Acquaroli che anche ora è volontario in Burundi.

Quando nel 1988 sono stato chiamato a presiedere il VIS che si era costituito come ONG ho portato con me la ricchezza delle precedenti esperienze con una buona sintesi tra i valori carismatici salesiani e le strategie necessarie per  essere operativi nel settore. Eravamo nel pieno della crisi della Cooperazione Italiana allo Sviluppo e le nobili idealità e aspirazioni dei soci fondatori rischiavano di essere travolte dal clientelismo partitico che spartiva  gli aiuti a secondo del colore politico...

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