resto@ttivo #diaridalmondo - Per i ragazzi vulnerabili di Haiti la formazione prosegue con lo smarphone

16 aprile 2020 - Continuano le testimonianze dei nostri operatori di sviluppo che hanno scelto di restare nei Paesi, anche a fronte dell'emergenza Covid-19. Oggi pubblichiamo il diaro di Sara Persico, rappresentante Paese VIS in Haiti:

Fra pochi giorni, il 19 marzo, sarà trascorso un mese da quando il Presidente della Repubblica ha annunciato in tv i primi casi di covid 19 in Haiti. Da settimane eravamo in uno stato di sospensione perché la malattia si stava propagando ovunque nel mondo, mentre Haiti sembrava essere immune. Un sogno, un’illusione infranta rapidamente.

Da quei primi due casi si è arrivati a 40 confermati di cui 3 decessi e 439 sospetti. Su dieci dipartimenti, 7 hanno dei casi, mentre quelli sospetti sono distribuiti su tutto il territorio. Il 50% dei confermati sono nel dipartimento Ouest, quello dove c’è la capitale.

Con l’annuncio dell’arrivo del virus nel Paese sono scattati i primi provvedimenti: chiusura scuole e parchi industriali, divieto per tutti gli eventi religiosi e culturali, divieti di incontri che prevedano più di 10 persone, rotazione del personale negli uffici pubblici, coprifuoco dalle 20 alle 5, chiusura delle frontiere e dei voli. I principali negozi hanno chiuso e riaperto dopo una decina di giorni, il tempo di organizzarsi per consentire l’accesso in sicurezza della clientela: punti per lavaggio delle mani all’ingresso, distanze alle casse, mascherine e guanti per i dipendenti.

Con i provvedimenti sono iniziate anche le campagne di sensibilizzazione della popolazione sui corretti comportamenti e sulle misure di igiene da seguire.

 

Il VIS, ed i salesiani della Fondazione Rinaldi hanno chiuso l’ufficio e cercato di organizzare il lavoro a distanza limitando la frequentazione dell’ufficio. Una grande preoccupazione, infatti, è il rischio di contagio durante gli spostamenti: chi ha un mezzo privato può spostarsi in sicurezza, ma chi deve usare i trasporti pubblici è estremamente a rischio. Qui i trasporti pubblici sono realizzati tramite dei pick-up riconvertiti per il trasporto di persone (tap-tap) o dei piccoli pulmini  che di solito sono ultra affollati. Fra i provvedimenti ci sono anche misure sul numero massimo dei passeggeri, ma chi controlla? E anche cercando di rispettarle, le distanze di un metro non possono essere garantite.

Si continua a raccomandare di limitare gli spostamenti e le uscite, ma la gente vive alla giornata, l’economia informale è quella che garantisce di poter offrire un pasto al giorno, le case sono minuscole e sovraffollate, insalubri, come chiedere di restare a casa? Impossibile.

Piove sul bagnato!

A gennaio la scuola aveva potuto finalmente riaprire dopo mesi di lock a causa dei disordini e delle violenze estese in tutto il Paese, ed ecco che si è fermi di nuovo. Migliaia di bambini e giovani perderanno l’anno scolastico?

Non c’è pace, non c’è tregua!

L’arrivo del virus mette a rischio anche le attività umanitarie in corso e che erano già in sofferenza per la crisi socio politico del paese: tutto da ripensare per poter lavorare in sicurezza  e convertire magari alcuni interventi per questa nuova emergenza.

Nuova emergenza… l’emergenza è la normalità per Haiti: terremoto, uragani, insicurezza alimentare, povertà, violenza, gangs, instabilità politica, crisi economica, inflazione, assenza dei servizi di base (salute, istruzione, acqua potabile, elettricità, salubrità delle abitazioni….). Inutile dire che qui mancano le basi per poter pensare di dare una risposta forte al virus sia nella prevenzione sia nella cura.

Resilienza: parola di moda, di cui si riempiono i progetti. In realtà sia gli haitiani così come molte popolazione africane ne avrebbero da insegnare a tutto l’occidente. Da quando nasci, da quando sei bambino, impari quanto è dura la vita, quanto è duro sopravvivere; è una lotta continua, ogni conquista richiede grandi sforzi, non sai mai cosa ti può riservare il domani e quindi godi di quello che hai oggi, approfitti del momento, dell’istante.

In questa situazione il tempo scorre in modo strano, le giornate corrono veloci ma ho anche la sensazione di vivere questo confinamento da un tempo lunghissimo. Le giornate scorrono con dei ritmi standard: sveglia- le notizie dall’Italia- la telefonata a casa mentre io faccio colazione ma i miei pranzano- mail- tele lavoro- meeting via Zoom- Skype-altra telefonata in Italia (io pranzo e loro cenano)- telelavoro- telefonate – whatsapp- notizie e aggiornamenti sull’Italia e su Haiti. Già, perché si è in Haiti ma si è anche in Italia con la preoccupazione di quello che può succedere qui e con il cuore spezzato per le molteplici morti che si sommano in Italia senza poter dire addio a nessuno.

 

Con lo staff locale ci si è organizzati rapidamente: le scuole sono ferme, abbiamo dovuto far rientrare a casa i ragazzi interni delle comunità, l’unico modo per poter restare in contatto è sfruttare internet ed il fatto che fortunatamente oramai quasi tutti hanno uno smartphone. Ed ecco quindi che i nostri psicologi si sono subito appassionati della proposta di continuare le nostre formazioni tramite delle piattaforme online e tramite whatsapp. La tecnologia aiuta a mantenere i contatti, a sapere come va a casa, a dare delle parole di conforto a chi vive delle situazioni complicate, i nostri psicologi sono sempre disponibili ad offrire i loro consigli. Si fa sensibilizzazione rispetto all’emergenza e si continuano le formazioni, ed entri in un altro modo nelle vite dei nostri destinatari, attraverso lo schermo di un telefono. Ma sei li, cerchi di essere accanto a loro nella speranza che tutto passi presto e che i danni non siano troppi alti.