Diritto alla vita? No, grazie! Io vivo in Iraq.

IRAQ (18 gennaio) Un nuovo terribile bilancio: nel 2006 sono state 94 le vite perse ogni giorno in Iraq. Se proviamo a fare con un semplice calcolo 94 per 365 ci sarà chiara la portata dell’orrore al quale abbiamo contribuito: 34.310 vittime civili.

 

Dopo settimane, mesi, anni di orrori tentiamo ancora di stupirci. I numeri fanno effetto, ci fanno sentire tutti un po’ colpevoli. Pesano sulle nostre coscienze per ricordarci quanto siamo “piccoli” e interessati solo “al nostro piccolo orticello”. Per ricordarci come è facile lasciarsi prendere dalla quotidianità dimenticando che c’è altro altre noi.

In quei territori dove “liberatori” dovevamo “portare la pace” gli orrori non si sono fermati.
Bush ha confermato l’invio di altri 21.500 uomini organizzati in cinque brigate che andranno ad operare insieme alle diciotto brigate irachene per garantire la sicurezza della capitale.Qualcosa non torna.
La sera del 5 settembre del 2002, inizia la caccia al terrorismo. Obiettivo: assicurare la sicurezza mondiale.

Dopo più di quattro anni lo scenario internazionale non sembra cambiato. E’ stato ucciso Saddam Hussein e alcuni dei suoi seguaci e fedelissimi ma non si sono placati gli attentati né tantomeno l’odio ha smesso di circolare nel sangue di coloro che vivono quelle terre. Alla domanda “…non sarebbe il caso di ritirarsi anziché rinnovare la presenza americana nei terrori iracheni?” Bush risponde dicendo che l’uscita degli americani dall’Iraq provocherebbe il collasso del paese.

Ora mi chiedo: di quale paese stiamo parlando? Dell’Iraq ormai dilaniato e decimato dalla follia di coloro che raccontano di salvaguardare il bene della popolazione civile mentre alimentano mere dinamiche di potere, o dell’America che sventolando il bisogno smodato alla sicurezza mondiale continua a tessere la sua rete? Un’America che deve iniziare a guardarsi le spalle da pericolosi vicini di casa: Siria e Iran, che probabilmente non nutrono grande simpatia per i “salvatori” d’oltre oceano.

L’Iraq ha bisogno di una soluzione politica e non militare. Di compagni di viaggio fedeli, disposti a tendere una mano... usciamo a fare due passi?

Debora Sanguinato