Essere mamma in Repubblica Democratica del Congo: una giornata straordinaria a Goma

8 maggio 2015 - Dal 2009, il Centro Don Bosco Ngangi di Goma, con la collaborazione del VIS, ha aperto una casa chiamata « Maison Margherita » (dal nome della mamma di don Bosco) per l’accoglienza di ragazze madri e dei loro bambini, ragazze vittime di violenza sessuale, ragazze di strada e/o ragazze in situazione di vulnerabilità della città di Goma e dei territori limitrofi. Il centro accoglie ragazze in età compresa tra i 12 e i 19 anni. Il Centro offre loro accoglienza (cibo, alloggio, cure mediche), protezione e formazione ad un mestiere (taglio e cucito, estetica e parrucchiera, cucina, artigianato).

Quando una ragazza è accolta a Casa Margherita, gli educatori iniziano il lavoro di ricerca e di contatto con le famiglie. L’obiettivo è il reinserimento, quando possibile, delle ragazze nelle loro famiglie d’origine. E’ importante sensibilizzare e responsabilizzare le famiglie di origine perché dopo la formazione le ragazze possano ritornare a casa ed essere sostenute nel loro cammino di reinserimento sociale.

Per questo 8 maggio, festa della mamma, vogliamo  raccontarvi cosa è successo di straordinario il 28 marzo scorso, proprio a Mamma Marghertia.

A Goma, città provincia del Nord Kivu in Repubblica Democratica del Congo, è un sabato mattina come un altro, in questo periodo dell’anno il tempo non promette bene, è la stagione delle piogge. Le strade sono piene di persone, i piccoli commercianti si azzardano comunque a esporre la loro mercanzia per poter vendere e guadagnare così la loro giornata.

Un sabato che sembra del tutto normale. Ma a Casa Margherita, centro di accoglienza per ragazze madri, per ragazze vittime di violenze sociali o familiari, oggi succede qualcosa di speciale.

Gli educatori della Casa, da molto tempo stanno evidenziando il grosso problema della comunicazione tra le ragazze accolte e le loro famiglie, le loro mamme.

Nei loro incontri con i famigliari cercano sempre di spiegare che le loro figlie hanno subito un trauma, che le loro ferite le portano ad essere aggressive, che è necessario un altro approccio, fatto di comprensione, di comunicazione, di dialogo franco e sincero, per aiutarle ad accettarsi, a riprendere coraggio e a rilanciarsi nella vita. Nonostante questi sforzi, il silenzio e la difficoltà a comunicare resta. I genitori continuano ad evitare le loro figlie, portando le ragazze a isolarsi a vivere sulla strada e a non sentire più la famiglia come un luogo sicuro e protetto.

Ecco allora che nasce l’idea di questo sabato mattina, diverso dagli altri, per mettere genitori e figlie faccia a faccia. Nasce l’idea di un luogo neutrale, dove possa fare un po’ meno paura parlare delle proprie fragilità, lavare i cosiddetti “panni sporchi” e intraprendere un nuovo cammino. L’ispirazione, il punto di partenza per iniziare questo cammino, viene dato da Don Bosco che ci dice che l’affetto (lui parlava di amorevolezza), la ragione e la religione devono essere un'unica cosa. In parole povere, l’importante è amare i giovani senza pregiudizi, perché sono giovani, perché passano attraverso una fase delicata e importantissima della loro vita, aiutare i giovani a imparare un mestiere, a amare il lavoro e diventare buoni cristiani...

Questo dev’essere il punto fondamentale sul quale ruota l’amore materno, l’amore di un adulto nei confronti di una persone che sta ancora crescendo.

Così eccoli tutti qui, gli uni di fronte agli altri, in questa mattinata, pulita dalla pioggia del giorno prima, pieni di silenzioso imbarazzo di fronte a un’enorme domanda: Cosa impedisce il dialogo nelle nostre famiglie?

Inizia il lavoro di gruppo, i genitori da una parte, le figlie dall’altra, i temi sono tanti, le parole ancora di più, temi grandi come case, per affrontarli servono anni interi, ma vengono pronunciati, vengono espressi: ’

  • aggressività dei genitori che crea paura nelle figlie;
  • la paura dei genitori di affrontare temi come la sessualità,
  • il cambiamento del corpo di una ragazza;
  • la pretesa che di fronte a uno sbaglio, a un abuso, anche se si è piccole e da sole, bisogna essere capaci di cavarsela;
  • l’irresponsabilità degli adulti;
  • il dolore di quando si preferisce il nuovo compagno/a alla propria figlie; 
  • rivivere i propri errori in tua figlia e non essere capace di capirla;
  • il tabù della cultura africana per certi argomenti;
  • la mancanza di mezzi economici.

Dopo questa condivisione, ecco che una sensazione di sollievo emerge in tutti i partecipanti, parlare non fa poi così male, anzi. Certo il dialogo va ancora aiutato, non si è ancora pronti a farlo da soli a faccia faccia con le proprie figlie, ma la sensazione è proprio bella, occorre continuare su questo cammino, la casa Margherita farà ancora da ponte tra di loro.

Poi il canto finale, in cui c’è più gioia e meno imbarazzo, dove tutti si sentono un po’ parte di qualcosa, un canto in cui le ragazze esprimono il perdono reciproco, un perdono rivolto soprattutto alla mamma, la mamma che per nove mesi porta dentro di sè il suo bambino: “ il tempo fa dimenticare questo legame e ci porta a offendervi, questa è l’occasione per chiedervi  perdono, per chiedervi di accettarci così come siamo, restiamo vostre figlie e vogliamo che questa occasione sia per noi una nuova partenza di collaborazione e di amore”.

Solo una ragazza non riesce ad abbracciare la sua mamma, forse perché le sue ferite sono ancora profonde, ma il lavoro è appena incominciato, la durezza della vita fa fare cammini e percorsi diversi, ma la cosa importante è iniziare, iniziare a dare spazi a queste voci che per troppo tempo sono state mute.

Questo clima di riconciliazione di questa mattinata si chiude con la messa, dove anche il cielo sembra mettere la sua parola, infatti una pioggia leggera accompagna la fine come se volesse aiutare a lavar via tutti i rancori, le ferite, le brutte parole, come se volesse accentuare le parole di padre Jean Claude, durante l’omelia, “solo il perdono e l’amore reciproci, possono rafforzare la gioia famigliare”.

Una mattina come questa, è una tappa importante, un segno del valore del lavoro di ogni giorno degli educatori e delle ragazze, dei Salesiani, dei volontari e degli operatori del VIS. Una mattina da rifare.

Monica

Operatore VIS in Repubblica Democratica del Congo