BURUNDI: gli scheletri sono fuori dell’armadio

24 Luglio 2015 - Dove sta andando il Burundi? Molti osservatori se lo chiedono. Elezioni legislative, comunali e presidenziali boicottate come nel 2010. Allora l’opposizione parlava di cifre truccate, oggi il contesto prima, durante e forse dopo le elezioni è fatto di scontri con feriti e morti, esecuzioni extragiudiziarie, minaccie ed arresti dei responsabilii dei partiti di opposizione. Ma andiamo con ordine. Tutto comincia il 25 aprile 2015 giorno del congresso del partito al potere che candida l’attuale presidente Pierre Nkurunziza ad un terzo mandato. La scintilla che fa esplodere la contestazione politica.

  1. Terzo mandato?

Dal mese di gennaio 2015 l’argomento fondamentale sui cui la classe politica burundese si affrontava, governo contro opposizione e viceversa, era la legalità del terzo mandato. Gli accordi di Arusha del 2000 che hanno sancito la fine della guerra civile parlano chiaramente di due mandati conscutivi al massimo. Si tratta di un accordo internazionale, firmato anche dal SudAfrica, dai paesi delle regione, dall’ONU.La Costituzione burundese parla di due mandati consecutivi a suffragio diretto. Tuttavia l’articolo 302 parla del primo mandato come di un mandato post-transizione dove il Presidente puo’ essere eletto in via eccezionale dalle camere dei deputati e dei senatori. Secondo l’opposizione il Presidente Nkurunziza ha già fatto i due mandati, secondo il partito al potere, il presidente ha diritto ad un terzo mandato: due a suffragio diretto, uno a suffragio indiretto.Secondo l’opposizione il testo di Arusha, un accordo internazionale, fonda la Costituzione, secondo il partito al potere l’accordo di Arusha non è che un semplice accordo come tanti altri che lascia il tempo che trova. Nel mese di marzo 2014 il partito al potere aveva cercato di cambiare la Costituzione supprimendo l’articolo 302 ma la legge non era passata.

La contestazione infiamma la capitale Bujumbura. Interi quartieri insorgono: Buterere, Cibitoke, Musaga, Nyakabiga, Kinindo, Kibenga, Kanyosha, Jabe, Bwiza, Buyenzi, Ngagara. Si alzano barricate, si incendiano pneumatici ed a volte auto. La polizia spara pallottole vere. Muoiono molti civili e qualche poliziotto (si parla di 80 morti solo a Buja). Timidamente la contestazione tocca alcune zone rurali: Mukike, Ijenda, Matana, Bururi, Makamba. Anche li dei morti,dei feriti. Bilancio: un centinaio di morti, un migliaio di feriti, un migliaio di arresti. Le radio private sono chiuse di forza dal governo, accusate di spingere le popolazioni alla rivolta. La comunità internazionale in maniera polifonica condanna il terzo mandato e la repressione delle libertà fondamentali: UE, USA, Belgio, Olanda, Germania, Francia sospendono gradualmente la loro cooperazione. Il paese ha bisogno di un appoggio economico internazionale del 52% per funzionare. Tutto è sospeso anche il finanziamento delle elezioni. Non è un problema etnico ma politico si tratta di un pacchetto di contestazioni: la repressione delle libertà fondamentali, la corruzione endemica, la povertà aggravata e generalizzata della popolazione,  l’arricchimento indecente del clan dei generali vicini al presidente, degli assassinii  di cui non si trova i responsabli tra cui quello di tre religiose sgozzate a Kamengue nel settembre 2014. I membri del partito al potere che consigliano il Presidente di non presentarsi per un terzo mandato sono espulsi dal partito e minacciati di morte. Quasi tutti perdono il loro lavoro come funzionari, licenziati in tronco. Ma a metà maggio c’è una svolta, un colpo di stato finito male.

13 maggio 2015: un colpo di stato à metà

Il 13 maggio, sorpresa generale: il generale Godefroy Niyombare ex-capo dei servizi secreti va alla radio verso mezzogiorno ed annuncia la fine del regime dittatoriale di Nkurunziza. La città di Bujumbura esplode di gioia. Si balla e si danza in tutti i quartieri. Il presidente non è nel paese, è in Tanzania per discutere il terzo mandato. I nuovi padroni del paese riaprono le radio chiuse. Poi con il passare delle ore la popolazione si rende conto che qualcosa non funziona nel dispositivo del colpo di stato. Una parte degli ufficiali implicati ha fatto il doppio gioco. I golpisti sono stati venduti. Non resta che la fuga. Il generale Niyombare riesce a fuggire e con lui altri ufficiali e militari. La repressione è feroce.  Le radio private sono incendiate. I militari del campo anti-Nkurunziza sono uccisi in un ospedale che viene anche saccheggiato. Comincia la caccia agli oppositori che fuggono chi in Belgio, chi in rwanda, chi in Tanzania. Fugge anche la popolazione rurale. Attualmente più di 150.000 burundesi sono nei campi in Rwanda e Tanzania. Le lezioni legislative del 29 giugno e le presidenziali del 21 luglio non sono riconosciute né dall’UE, né dagli USA, né dall’UA. Il paese è dunque in una crisi politica senza precedenti. Cosa accadrà? Il paese scivola lentamente verso una nuova guerra civile. Gli scheletri sono usciti dall’armadio e tutti i problemi nascosti e mai risolti sono di nuovo là: tutto un paese deve andare alla deriva per le esigenze di pochi? E già successo nel 1972, nel 1993...

Il VIS tra i giovani più poveri

In questo contesto di grave crisi politica, economica e sociale il VIS continua a lavorare tra la popolazione giovane per combattere contro la sua esclusione. I giovani rappresentano il 50% della popolazione del Burundi. Il progetto “Ateliers de succès” cofinanziato dall’agence française de développement et il VIS ha come obiettivo quello di formare i giovani ad un mestiere utilizzando una metodologia duale. Infatti i giovani ricevono una formazione pratica e teorica durante un anno. Si tratta globalmente di  un migliaio di giovani provenienti dalle classi più povere: quelli che hanno abbandonato la scuola per mancanza di  mezzi finanziari, quelli che vivono di piccoli espedienti quotidiani, lontano dalle famiglie, quelli che lavorano come apprendisti nelle piccole imprese artigianali senza molta possibilità di crescere professionalmente.

Si tratta di un progetto che sostiene il settore informale dell’economia burundese. Da alcuni anni il VIS si è concentrato sulla strutturazione del settore. Tale settore rappresenta circa 85% dell’economia del paese. Gli artigiani infatti sono il gruppo più numeroso di piccoli imprenditori che costituiscono il tessuto economico del paese accanto a qualche industria locale che è sopravissuta ai vari PAS ed alle privatizzazioni delle società pubbliche che formavano l’allora tessuto economico del paese.

Attualmente il progetto interessa tre provincie del paese, di cui due sono rurali: il comune di Kinnama nella provincia di Bujumbura città; il comune di Gihanga, nella provincia rurale di Bubanza; il comune di Muramvya nella provincia rurale di Muramvya. Il progetto cerca di organizzare gli artigiani intorno ai Centri di formazione cjhe si trovano a Kinnama, Gihanga e Muramvya. In questi Centri di formazioni i giovani ricevono la formazione teorica professionale, mentre nelle unità di produzione artigianale che si trovaono negli stessi comuni, faranno il loro stage pratico di apprendistato. L’aver allargato la possibilità di formazione alla zona rurale è stata una scelta consapevole del VIS. Infatti molti giovani rurali vivono la loro esclusione in maniera traumatica perché non hanno della terra, non hanno un avvenire dinanzi e vivono di espedienti andando a lavorare come braccianti sulla terra di altre famiglie o  andando a vivere nelle grandi città per confiare il numero di coloro che fanno la “vente à la sauvette” cioè una vendita ambulante di piccole cose: sigarette, fazzoletti dicata, penne etc..

Il progetto propone ai giovani quattro direzioni di formazione: la meccanica auto;  la falegnameria, il cucito/serigrafia,  la trasformazione agro-alimentare, mestieri inerenti alla costruzione di abitazioni: muratori, idraulici, elettricisti etc..

Questa la nostra sfida quotidiana. Accompagnare i giovani nel loro cammino e nella loro crescita in umanità e dignità attraverso l’apprendimento di un lavoro, primo passo verso una cittadinanza responsabile.