Diario di una volontaria sospesa

20 marzo 2020 - Pubblichiamo il diario di Rebecca Diotallevi, 28 anni, che qualche giorno fa avrebbe dovuto iniziare l'anno di servizio civile con il VIS in Palestina: 

 

Foglie d’alloro ad incorniciare un sorriso soddisfatto, coriandoli fra i capelli e il calore di chi ti vuole bene. Si chiude il sipario e poi… vuoto. Dopo anni di obiettivi delineati da appelli d’esame e consegne, ti ritrovi a dover fare i conti con il vuoto e degli obiettivi a cui dare forma senza date né consegne.

Poi la scelta del servizio civile, che dopo il tirocinio svolto con il VIS in Senegal, è stata davvero naturale. Dubbi e domande, ore passate a leggere e rileggere quei progetti: StopTratta o Frequentando il Futuro; Africa o Medio Oriente. E poi… la scelta. Il nuovo, la scoperta e allora Frequentando il Futuro in Palestina sia.

Le selezioni in una grigia e ventosa giornata romana e la sola certezza di essere al posto giusto. Poi l’attesa, una chiamata, si parte!!

Ho comprato una valigia (più grande di me).

 

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Stesso scenario, ma con il sole e il profumo di margherite ad allietare le giornate romane. Otto ragazzi, otto volti (più o meno) nuovi, otto scalpitanti caratteri pronti a mettersi in gioco. Lineamenti segnati da curve dolci, mani protese le une verso le altre, rumore di pensieri e cervelli in azione. La naturalezza di essere un gruppo.

La formazione al VIS in due parole? Piena ed intensa. Periodi di cui parli con gli occhi che brillano. Ha superato le mie aspettative, che erano già alte. I formatori, le persone che ci hanno accompagnato durante quelle giornate, lo hanno fatto con indubbia professionalità e competenza, ma ancor di più con cura e attenzione, facendoci sentire parte di un qualcosa di grande, dando un nuovo significato e una nuova dimensione alla parola noi.

Connessione, appartenenza e apertura. E poi… uno stop. Un ostacolo. Diventato una pandemia mondiale. Se rimane difficile spiegare i sentimenti contrastanti e le preoccupazioni di quei pochi giorni in cui il nostro futuro (e qualcosa di ancor più grande) è stato scosso, forte è rimasto quel senso di appartenenza e protezione generato da quella parola, noi. Tutto si è ridimensionato, quello stop necessario, quelle chiusure necessarie e ancora quel noi, momentaneamente confinato ma che non vuole perdersi.

Ho messo la valigia in soffitta.

 

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Riscoprire la dimensione del tempo, l’essenziale gli ha restituito la sua interezza. E sto cercando di assaporarla appieno. Ho fatto una lista (adoro fare liste) divisa per settori: sistemare, beauty & co., studio e affini…

Mettere in ordine, togliere i granelli di polvere, buttare per riempire; spostare per far riaffiorare i ricordi; fare spazio in attesa di delineare il nuovo. Il tutto in maniera anche molto meno poetica, munita di stracci e spugne e in compagnia della mamma. Ma la poesia filtra ovunque ed alla fine la soddisfazione lascia un senso di serenità, sapendo che la polvere (e il caos) torneranno di nuovo.

Sul comodino ho tre libri: due di narrativa araba e un'antologia di poesie palestinesi (si capisce dove vorrei essere in questo momento?). Ho pensato che conoscere un popolo dalla sua poesia possa essere davvero una bella finestra "In un mondo senza cielo" (questo il titolo dell'antologia). Caterina (uno dei sorrisi appena conosciuti) mi ha consigliato un libro sulla storia della Palestina e sul conflitto israelo-palestinese. Insieme ai libri, agli esercizi di inglese e al corso di progettazione, anche per quanto riguarda lo studio la lista è completa.

Per lo svago, la tecnologia ci viene in aiuto e allora chiacchiere, caffè e aperitivi in compagnia si fanno, ma via Skype. Siamo italiani e la nostra quarantena passa per forza dal cibo, e allora si cucina e si cerca di imparare le ricette dalla mamma (che è bravissima in cucina). E per finire, non vuoi imparare anche qualcosa di nuovo in questa quarantena? E allora ricamiamo o almeno proviamo ad imparare. 

Chissà se cancellerò tutto dalla lista, ma ci proverò.

Ho comprato la valigia, ho una valigia in soffitta, aspetterò il tempo di aprirla ancora.

 

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Un finale che finale non è. Penso spesso al Parco dell'Appia Antica, sede del VIS, ai i ragazzi e alle persone del VIS che lavorano instancabilmente per NOI. I ragazzi li sento praticamente tutti i giorni, combattiamo il virus una risata alla volta e grazie al VIS posso e possiamo pensare a questa quarantena come il tempo dell’attesa, del rallentare, del costruire, dell’aprirsi nonostante le chiusure; sapendo che il nostro futuro è in buonissime mani: attente, determinate e delicate; capaci di prendersene cura nel migliore dei modi.