resto@ttivo #diaridalmondo - Come si fa un tampone Covid? Programma di formazione per i medici in Senegal

9 maggio 2020 - Per resto@ttivo nel mondo, che racconta l'impegno del VIS per contenere la diffusione del coronavirus nei Paesi del Sud del mondo e supportare le persone più vulnerabili, pubblichiamo oggi il diario di Giulia Pallini, project manager VIS in Senegal:

 

Sono ormai passati 67 giorni da quando il primo caso di coronavirus è stato individuato in Senegal, a Dakar. Se all'inizio solo la capitale sembrava colpita, con il passare del tempo tutti noi ci siamo resi conto che ci stavamo sbagliando. Lentamente il numero di contagi è aumentato, cosi come è aumentato il numero di regioni colpite. Ad oggi, su 14 regioni 11 presentano casi di contagio.

 

Con il crescere dei casi, sono diventate sempre più stringenti le misure di sicurezza adottate: chiusura delle frontiere, stato di urgenza, divieto di circolare al di fuori della regione di residenza o del dipartimento, coprifuoco, l’obbligatorietà della mascherina in molti luoghi chiusi e aperti, l’apertura a giorni alterni dei mercati, e cosi via.

 

Progressivamente, anche le persone sono cambiate. Il percorso che faccio tutti i giorni da casa all'ufficio, una gradevole passeggiata al mattino, un infernale arrancare sotto il sole cocente il pomeriggio (!!), che attraversa in lungo il quartiere di Medina Coura, è un termometro significativo del cambiamento. Se all'inizio i commercianti continuavano a riunirsi sotto a un albero per bere il thé, le donne di passaggio dirette al mercato si fermavano a chiacchierare tra loro, i bambini ridevano solo a sentire la parola “coronavirus”, oggi, complice il Ramadan, non incontro più nessuno la mattina, se non qualche signora silenziosamente diretta al mercato, che la mascherina la indossa anche se per strada è completamente sola. Il pomeriggio, gli amici non bevono il thé, e i bambini che ancora giocano fuori si guardano con sospetto. L’impatto visivo più forte resta quello delle mascherine. Tanti, quasi tutti, le indossano anche nei casi non obbligatori per legge, mentre passeggiano da soli o all'interno dei propri atelier.  

 

Come VIS, la crisi ci ha colpito, e molto forte. Nondimeno, abbiamo capito subito quanto fosse necessario intervenire sfruttando le nostre competenze. Oltre ad attivare delle trasmissioni radiofoniche di informazione e sensibilizzazione dirette alla popolazione, siamo riusciti ad organizzare un’interessantissima sessione di formazione a supporto del personale medico, che come purtroppo sappiamo bene, è in prima linea e il più esposto a rischio. Durante questa sessione di formazione sono stati toccati tre temi: tecniche di vestimento e svestimento; tecniche per effettuazione di tampone; presa in carico del paziente positivo. Su tutta la regione di Tambacounda, che conta ad oggi 64 casi, la task force che si occupa dei pazienti Covid non aveva ancora ricevuto una formazione. Vedere con i nostri occhi quanto sia difficile indossare e rimuovere una tuta protettiva ci ha fatto capire che annullare il rischio di contaminazione è praticamente impossibile. Ci ha fatto capire quanto queste persone, prima che medici, possono essere vulnerabili e non per scelta, ma perché non hanno alternative. Questa seppur piccola attività ci ha motivato nello scrivere un progetto che, se finanziato, tra le varie attività ci permetterà di formare il personale medico di tutta la regione di Tambacounda e di Kaolack.