Tre giorni in Terrasanta. Un viaggio in cinque parole. La testimonianza di Gianni Vaggi

13 agosto 2014 - Abbiamo chiesto a Gianni Vaggi, consigliere esecutivo del VIS e direttore del Master in Cooperation and Development di Pavia di raccontarci la sua ultima missione in Terra Santa avvenuta la scorsa settimana, mentre infiammava il conflitto. Ecco il racconto del viaggio in cinque parole: Rifugio, Confuso, Cambiamento, Ragionevolezza e Dialogo.

Tre giorni in Terrasanta

di Gianni Vaggi*

Un viaggio in cinque parole.

Shelter, rifugio  è un cartello che compare all’aeroporto di Tel Aviv, insieme a ritiro bagaglicontrollo passaporti. Più che la parola colpisce la figura stilizzata dell’omino che corre. I passeggeri camminano in fretta anche se sono un po’ meno del solito, ma quella parola ti fa capire che forse la situazione non è proprio normale.

A Betlemme i turisti sono sparuti numeri e gli alberghi sono vuoti, per due notti sono stato l’unico ospite della St Vincent Guest House ai piedi dell’Università di Betlemme e dove le Suore della Carità tengono un nido per bimbi abbandonati. A Gerusalemme la crisi del turismo c’è e va un pò meglio. Il Santo sepolcro non è affollato come nei giorni migliori, ma non è neppure vuoto come negli anni della seconda intifada. E tuttavia la stagione dei pellegrinaggi è compressa almeno fino ad Ottobre.

Confuso, è la seconda parola che ricordo. Me la dice Said parlando di sé in una telefonata da Gaza. Said è tornato nella sua casa sento le bambine giocare in sottofondo, ma mi dice anche che da pochi minuti c’è stata un ‘esplosione. Said ha fatto il master a Pavia e anche grazie al VIS sta cercando di venire in Italia, però è confuso, non sa che fare. Lui ha un visto Schengen fino a Settembre ma dovrebbe lasciare moglie e figlie e sperare di riuscire a farle venire successivamente. A Gaza lavora per una ONG Norvegese ha un’ottima posizione, in Italia dovrebbe fare una vita da emigrante, ricrearsi tutto. Ma a Gaza ci sono le bombe, cinque anni fa ora ancora. Non sa cosa fare.

Cambiamento. Dieci anni fa, all’inizio della guerra in Iraq un tassista e amico di Gerusalemme est mi disse: George W. Bush vuole cambiare il Medio Oriente, il Medio Oriente cambierà ma non come pensa George W. Bush. Difficile non penserà a quelle parole in questi giorni, dove la tragedia di Gaza -2000 morti certo, ma anche tante vite con un destino in sospeso, come Said e la sua famiglia-  viene superata da ciò che succede nel Nord dell’Iraq.

Ripartendo dall’aeroporto di Tel Aviv leggo su Haaretz l’ennesimo articolo di Gideon Levy che cerca di spiegare agli israeliani che a Gaza non tutti sono pro Hamas e certamente non sono lanciatori di razzi, sono persone normali, come Said, come in Israele, che vogliono crescere i figli e dare loro opportunità. Conclude amaramente Levy raccontando delle minacce che riceve da lettori molto esagitati che gli suggeriscono di andarsene anche lui a Gaza e restarsene li.

Ragionevolezza e dialogo sono due parole che ancora fanno fatica ad imporsi, eppure non ci sono alternative.

*Gianni Vaggi è Consigliere Esecutivo del VIS  e Direttore del Master in Cooperation and Development di Pavia

11 agosto 2014