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Gaza, la sospensione dei fondi a Unrwa significa mettere a repentaglio la vita di 5.9 milioni di persone

Pubblichiamo il comunicato della Piattaforma delle OSC italiane in Medio Oriente e Mediterraneo, Amnesty International, Assopace Palestina, AOI e CINI, di cui il VIS fa parte, sulla sospensione dei fondi a Unrwa:

Le Organizzazioni della società civile italiana (OSC) raggruppate nelle reti AOI e CINI, la Piattaforma delle OSC italiane in Medio Oriente e Mediterraneo, Amnesty International, Assopace Palestina esprimono forte preoccupazione per la pesante crisi umanitaria che si sa perpetrando a Gaza da oltre 100 giorni, ora aggravata altresì dalla sospensione da parte di molti Paesi inclusa l’Italia, dei fondi destinati all’agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, che dal 1949 si occupa di fornire assistenza ai rifugiati palestinesi: oggi 5.9 milioni di persone tra Territori palestinesi occupati, Giordania, Libano e Siria. In questi territori UNRWA gestisce 58 campi di rifugiati, con 706 scuole frequentate da oltre 543.000 bambine e bambini, ragazze e ragazzi; 140 presidi sanitari che effettuano 7 milioni di visite mediche di base ogni anno, a cui si aggiungono 113 centri di servizi per le donne, senza calcolare le iniziative di supporto economico alle famiglie. I dipendenti di UNRWA sono circa 30.000. Sospendere i fondi a UNRWA significa pertanto punire collettivamente e mettere a repentaglio la vita di 5.9 milioni di persone che già vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, tra cui – ovviamente – gli abitanti di Gaza (2.3 milioni di persone), le cui vite sono a rischio ogni giorno a causa degli incessanti bombardamenti israeliani, dei colpi di artiglieria delle truppe che hanno invaso la Striscia e a causa della fame e delle malattie causate dalle pessime condizioni igieniche in cui si trovano a vivere dopo che la distruzione della Striscia, iniziata lo scorso ottobre, e i numerosi ordini di evacuazione emanati dall’esercito israeliano, hanno costretto oltre l’85% della popolazione a lasciare le proprie abitazioni e a trovare rifugio, prevalentemente, proprio all’interno delle strutture UNRWA. Senza fondi, l’assistenza umanitaria a Gaza andrà al collasso con conseguenze pesantissime sui diritti umani fondamentali dei suoi abitanti. Le accuse mosse da Israele nei confronti di alcuni dipendenti di UNRWA non costituiscono un motivo sufficiente per sospendere i fondi all’Agenzia. Anche se le accuse risultassero fondate, l’Agenzia non potrebbe essere considerata collettivamente responsabile degli atti commessi da alcuni suoi dipendenti. Riteniamo, invece, che le misure prontamente adottate da UNRWA nei confronti dei 12 dipendenti che sono stati accusati da Israele di aver partecipato al massacro perpetrato da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi il 7 ottobre testimonino la fermezza e la trasparenza di un’organizzazione seria e affidabile. Allo stesso tempo, ricordiamo che 152 membri dello staff di UNRWA hanno perso la vita sotto le bombe israeliane lanciate sulla popolazione civile di Gaza, mentre cercavano di portare avanti il loro lavoro, oltre al fato che 147 sue strutture sono state colpite e danneggiate. UNRWA è la principale agenzia umanitaria a Gaza e la sua fornitura di assistenza umanitaria non può essere sostituita da nessun’altra agenzia. Se le sospensioni dei finanziamenti non saranno revocate, assisteremo a un completo collasso della già limitata risposta umanitaria a Gaza. Dall’inizio dei bombardamenti il personale di UNRWA ha continuato a lavorare in circostanze quasi impossibili per fornire cibo, vaccinazioni e acqua potabile. I Paesi che sospendono i fondi rischiano di privare ulteriormente i Palestinesi non solo di Gaza ma di tuta la regione, di cibo, acqua, assistenza e forniture mediche, istruzione e protezione, rendendosi complici della morte di moltissime persone. A conferma della necessità e dell’obbligo di provvedere alla fornitura di aiuti umanitari a Gaza vi è anche la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) emessa il 26 gennaio 2024 (Sudafrica-Israele)1 in risposta alla richiesta del Sudafrica di avviare un procedimento contro Israele, accusato di violazione della Convenzione sul Genocidio per le sue azioni nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023. La sentenza riconosce la plausibilità che Israele stia commettendo atti che costituiscono genocidio ai sensi della Convenzione (par. 54) e riconosce che esiste un rischio reale e imminente di danno irreparabile ai diritti protetti dalla Convenzione (par. 74). Le misure provvisorie ordinate comprendono: l’astensione da ogni ulteriore atto che possa costituire genocidio; la prevenzione e la punizione dell’incitamento al genocidio; il consenso all’assistenza umanitaria; la prevenzione della distruzione e la conservazione delle prove; la presentazione alla Corte, entro un mese, di un rapporto che illustri in dettaglio le misure adottate per attuare la sentenza. Queste misure provvisorie sono vincolanti per Israele. Alla luce di ciò, tutti gli stati hanno l’obbligo generale di garantire che non venga commesso un genocidio, e in particolare i 153 stati parte della Convenzione sul Genocidio, tra cui l’Italia, hanno l’obbligo di garantire l’attuazione delle misure provvisorie e di impiegare tutti i mezzi ragionevolmente disponibili per prevenire il genocidio. Pertanto, la scelta di sospendere i fondi all’UNRWA potrebbe costituire una violazione degli obblighi in capo all’Italia di prevenire il genocidio. Reiteriamo quindi l’invito al nostro governo:

- a fare tuto ciò che è in suo potere affinché si arrivi il prima possibile ad un cessate il fuoco permanente

- a fare di tuto per garantire che l’assistenza umanitaria a Gaza possa essere realizzata nei modi e nei tempi più opportuni al fine di salvare più vite possibile nel più breve tempo possibile

- a revocare la sospensione dei fondi destinati ad UNRWA, in linea con i propri obblighi di prevenire il genocidio dei Palestinesi a Gaza, dal momento che la conseguenza diretta di tale sospensione è la diminuzione dell’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese, e che tale conseguenza si pone in contrasto con una delle misure cautelari stabilite dalla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia.